La nostra prima volta è stata tragica.
Me lo ricordo bene, era domenica,
in quella mia seicento prenuragica:
una serata in rima quasi magica.
L’avevamo già fatto con la fantasia,
programmato carezze e abbracci teneri,
magari con un fondo di malinconia,
roba da canzonette, roba da hit parade.
Diglielo tu, Maria, come si butta via
il più bel sogno inedito della tua fantasia;
diglielo tu, Maria, che non si fa poesia
e che i momenti magici son tutta una bugia.
Liberaci dal male, liberiamoci.
È il momento dei ruoli, analizziamoci,
non mettiamoci fretta, rilassiamoci,
guardiamoci un momento, accarezziamoci.
Ma quando mi dicesti: “Non ancora, dai,
aspetta ancora un po’, ti prego”, io pensai:
a questo punto Rosa avrebbe detto sì,
tra gemiti e lamenti avrebbe detto sì.
Diglielo tu, Maria, come si butta via
il più bel sogno inedito della tua fantasia;
diglielo tu, Maria, che non si fa poesia
e che i momenti magici son tutta una bugia.
Il primo della classe sale in cattedra.
Dicesti: mi fa male. Dissi: è logico.
Volevo pure dirti: poi ti piacerà,
ma questo, per fortuna, te lo risparmiai.
Bistecche, giornaletti, l’università
mi hanno reso la vita un po’ più facile;
il sangue c’è l’ho buono, cosa vuoi di più?
Lei, nonostante tutto, mi sorriderà.
Diglielo tu, Maria, come si butta via
il più bel sogno inedito della tua fantasia;
diglielo tu, Maria, che non si fa poesia
e che i momenti magici son tutta una bugia.